Original English Text

 

Thomas Paine

(1737-1809)

 

The Rights of Man

(1791)

 

 

 

A George Washington presidente degli Stati Uniti d'America

 

Signore, vi presento un breve trattato in difesa di quei princìpi di libertà che con la vostra esemplare virtù avete eminentemente contribuito ad affermare. Possano i diritti dell'uomo divenire universali, così come auspicate nella vostra benevolenza, e possiate avere la gioia di vedere il nuovo mondo rigenerare il vecchio: è questo il voto del nostro obbligatissimo, obbediente e umile servitore  

 

Thomas Paine

 

 

Prefazione all'edizione inglese

 

Date le posizioni assunte da Burke a proposito della rivoluzione americana, era naturale che io dovessi considerarlo un amico dell'umanità; e poiché fu in quelle circostanze che ci conoscemmo, avrei preferito aver motivo di continuare in quell'opinione, anziché di doverla cambiare.

Proprio quando Burke tenne il suo violento discorso contro la rivoluzione francese e l'Assemblea nazionale davanti al parlamento inglese, lo scorso inverno, io mi trovavo a Parigi […]. […] il pamphlet di Burke […] non solo è un insulto oltraggioso alla rivoluzione francese ed ai princìpi della libertà, ma è anche una mistificazione ai danni del resto del mondo. […]

 

 

Prefazione all'edizione francese

 

La meraviglia suscitata in tutta Europa dalla rivoluzione francese può essere considerata sotto due aspetti principali: l'influenza esercitata sulle nazioni straniere, e quella esercitata sui governi di quelle stesse nazioni.

Ogni popolo europeo considera la causa del popolo francese identica alla propria; anzi, quella causa sembra abbracciare gli interessi del mondo intero. […]

 

 

I diritti dell'uomo

 

L'opuscolo dedicato da Burke alla rivoluzione francese occupa un posto a sé tra le provocazioni e le offese che nazioni e individui possono infliggersi a vicenda. […]

Non contento di insultare l'Assemblea nazionale, egli dedica gran parte della sua opera ad insultare il dottor Price (uno dei migliori uomini che esistano al mondo) e le due società note in Inghilterra con il nome di Revolution society e Society for constitutional information.

Il dottor Price aveva pronunciato un sermone il 4 novembre 1789, cioè nell'anniversario di quella che in Inghilterra si chiama la rivoluzione, e che ebbe luogo nel 1688. A proposito di questo sermone Burke scrive: «Il nostro teologo politicante procede dogmaticamente ad affermare che, in base ai princìpi della rivoluzione, il popolo inglese ha acquistato tre diritti fondamentali: 1) quello di scegliere i propri governanti; 2) quello di destituirli per cattiva condotta; 3) quello di dar forma a un governo da se stesso».

Il dottor Price non dice che il diritto di far ciò spetta a questa o quella persona, o a questa o quella categoria, ma che esso spetta al tutto: cioè che esso risiede nella nazione. Burke, al contrario, nega che un tale diritto risieda nella nazione, nella sua totalità o in una sua parte, anzi nega addirittura che esso esista comunque; e, cosa ancora più strana e stupefacente, egli afferma che «il popolo d'Inghilterra lo rinnega in modo assoluto, e ne contrasterà l'attuazione pratica a prezzo della propria vita e dei propri beni». È una scoperta completamente nuova, e confacente al gusto di Burke per il paradosso, che gli uomini debbano ricorrere alle armi e sacrificare la loro vita e i loro averi non per i loro diritti, ma per affermare di non avere alcun diritto. […]

Non vi fu mai, né mai vi sarà, né potrà mai esservi un parlamento o una categoria di uomini o una generazione, in nessun paese, che abbia il diritto o il potere di vincolare e disporre della discendenza fino «alla fine dei tempi», o di stabilire per sempre come il mondo debba esser governato o chi debba governarlo. […]

Un tempo i re disponevano arbitrariamente della propria corona sul letto di morte e consegnavano il popolo, come se fosse bestiame, al successore da loro designato. Questo sistema, che ormai è caduto nell'oblio, è così assurdo che si stenta a credervi; eppure le clausole degli atti parlamentari su cui Burke costruisce il suo credo politico sono di questa stessa natura.

Le leggi di tutti i paesi debbono rispondere ad alcuni princìpi comuni. In Inghilterra né il genitore o il padrone, né tutta l'autorità del parlamento, per quanto abbia affermato la propria onnipotenza, possono vincolare o disporre della libertà personale anche di un solo individuo oltre l'età di ventun anni. Con che diritto allora il parlamento del 1688, o qualsiasi altro, ha potuto vincolare tutti i posteri per sempre? […]

Ci vuol poco a capire che, sebbene le leggi fatte da una generazioni spesso restino vigenti durante le generazioni successive, esse continuano a trarre il loro vigore dal consenso dei vivi. Una legge che non sia stata abrogata continua a vigere, non perché non possa venire abrogata, ma perché di fatto non lo è stata; e se non lo è, si intende che essa riscuote ancora successo.

[…] la Fayette si rivolge ai mondo dei vivi, e afferma con fervore: « Ricordatevi dei sentimenti che la natura ha scolpito nel cuore di ogni cittadino e che trovano nuovo vigore quando sono solennemente riconosciuti da tutti: affinché una nazione ami la libertà, basta che essa la conosca; e perché essa sia libera, è sufficiente che lo voglia». […]

La nazione non si ribellò contro Luigi XVI, ma contro i princìpi dispotici del governo. Questi princìpi non traevano la loro origine da lui, ma dall'istituzione originaria del governo risalente a molti secoli addietro; ed erano troppo profondamente radicati per essere rimossi. E la stalla di Augia dei parassiti e dei profittatori era lurida al punto di poter essere ripulita soltanto da una rivoluzione totale ed universale.

[…] Nel caso di Carlo I e Giacomo II d'Inghilterra, la rivolta fu diretta contro il dispotismo personale degli uomini, mentre in Francia essa fu diretta contro il dispotismo ereditario delle istituzioni del governo. […] Quando il dispotismo si è instaurato da secoli in un paese, come in Francia, esso non risiede unicamente nella persona del sovrano. Esteriormente, e quanto all'autorità nominale, sembra che sia così; ma in pratica le cose stanno diversamente. Il dispotismo ha dovunque le sue roccaforti; ogni ufficio e ogni dipartimento ha il suo, radicato negli usi e nelle consuetudini. Vi è una Bastiglia in ogni luogo, e un despota per ogni Bastiglia. […] Tra la monarchia, il parlamento e la Chiesa vi era quasi una rivalità nel tiranneggiare; senza contare il dispotismo feudale esercitato localmente e quello ministeriale, che si estendeva ovunque. […]

In quella lotta [la presa della Bastiglia] ebbero molte più perdite i cittadini che non i loro avversari; ma quattro o cinque di questi furono catturati dai popolani e posti subito a morte: il governatore della Bastiglia, e il sindaco di Parigi, scoperto in flagrante tradimento; e i seguito Foulon, uno dei nuovi ministri, e Berthier, suo genero, che aveva accettato la carica di intendente di Parigi. Le loro teste vennero infisse sulle picche e portate in giro per la città; e su questo genere di punizione Burke impianta gran parte delle sue scene tragiche.

[…] Poniamo dunque l'ascia alla radice, ed insegniamo ai governi ad essere umani. Sono le loro condanne sanguinarie a corrompere l'umanità. In Inghilterra talvolta si punisce impiccando, sventrando e squarciando; il cuore della vittima viene estratto ed esposto alla vista della plebaglia. In Francia, sotto il vecchio governo, le condanne non erano meno barbare. Chi non ricorda l'esecuzione di Damien, fatto squartare dai cavalli? […]

ma tutto ciò che vediamo o veniamo a sapere, e che ci colpisce nei sentimenti o ci sembra offensivo per l'umanità, non dovrebbe indurci a condannare, ma a ben diverse riflessioni. Persino gli esseri che commettono simili azioni hanno qualche diritto alla nostra considerazione. Come mai dunque quelle vaste classi dell'umanità che vanno sotto il nome di volgo, o di plebe ignorante, sono tanto numerose in tutti i paesi europei? Appena ci rivolgiamo questa domanda, le nostre riflessioni suggeriscono la risposta. Queste classi sorgono come conseguenza inevitabile della cattiva Costituzione di tutti i vecchi regimi europei, Inghilterra compresa. Privilegiando ingiustamente alcuni uomini, se ne degradano ingiustamente altri, fino a snaturare il tutto. Una gran massa di uomini è avvilita e respinta sullo sfondo dell'affresco umano, perché appaiono in una luce più sfolgorante le marionette che recitano la farsa dello Stato e dell'aristocrazia. All'inizio di ogni rivoluzione, questi uomini sono gli spettatori piuttosto che i combattenti della libertà, e debbono ancora essere educati a rispettarla.

Sono disposto ad ammettere che le esagerazioni teatrali di Burke siano fatti realmente accaduti; e gli domanderò allora se essi non confermano la verità di quanto vado sostenendo. Ammettendoli come veri, essi mostrano la necessità della rivoluzione francese, non meno che qualsiasi altra cosa avrebbe potuto affermare. Quelle violenze non furono l'effetto dei princìpi della rivoluzione, ma della mentalità distorta che esisteva prima di essa, e che proprio la rivoluzione doveva riformare. Burke dovrebbe attribuirle alle loro vere cause, e accollarsi il biasimo di cui le ha fatte oggetto. […]

Si deve notare che in tutto il suo libro Burke non parla mai delle congiure ordite contro la rivoluzione; eppure da questi piani è scaturita ogni violenza. Mostrare le conseguenze senza parlare delle cause serve ai suoi intenti; è un trucco da palcoscenico. Se insieme alle colpe degli uomini si mostrassero le loro sofferenze, forse l'effetto scenico si perderebbe, ed il pubblico sarebbe indotto ad approvare ciò che ci voleva fargli condannare.

[…] Burke insulta la Dichiarazione dei diritti dell'uomo […]. Egli la definisce «insipidi frammenti di carta esaltanti di diritti dell'uomo». Burke intende forse negare che l'uomo abbia dei diritti? In tal caso, egli deve sostenere che non vi sono affatto dei diritti, e che egli stesso ne è privo; perché chi può avere diritti se non l'uomo? Ma se Burke vuole ammettere che l'uomo ha dei diritti, allora gli domanderò: quali sono questi diritti, e donde li derivò l'uomo originalmente? […]

Siamo così giunti all'origine dell'uomo, e all'origine dei suoi diritti. Quanto al modo in cui il mondo è stato governato da allora fino ad oggi, non deve interessarci altro che per fare un buon uso degli errori e dei progressi che la storia ci mostra. […]

Il principio divino e illuminante degli uguali diritti dell'uomo (infatti esso ha origine nel Creatore) si riferisce non soltanto agli individui viventi, ma alle generazioni umane che si susseguono. Ogni generazione è uguale nei diritti a quelle che la precedettero, in virtù della stessa regola per cui ogni individuo nasce con diritti uguali a quelli dei suoi contemporanei.

Tutte le storie della creazione e di tutti i racconti tradizionali, sia del mondo letterato che di quello illetterato, comunque possano variare nelle opinioni o nelle credenze riguardo a certi particolari, concordano nello stabilire un punto, l'unità dell'uomo. Con ciò intendo che gli uomini appertengono tutti a uno stesso ordine [degree], e di conseguenza che tutti nascono uguali, e con uguali diritti naturali, come se la specie si perpetuasse per creazione anziché per generazione, quest'ultima non essendo che il modo in cui si fa proseguire la prima; e di conseguenza bisogna pensare che ogni bambino che viene al mondo deriva la propria esistenza da Dio. Il mondo per lui non è nuovo come lo fu per il primo uomo, e i suoi diritti naturali nel mondo sono dello stesso genere.

La narrazione mosaica della creazione, che le si attribuisca una autorità divina o solamente storica, conferma pienamente l'unità o uguaglianza dell'uomo. Le espressioni al riguardo non ammettono controversie: «E Dio disse: “Facciamo l'uomo a nostra immagine”. A immagine di Dio lo creò; uomo e donna li creò». Non vi è il minimo accenno ad altra distinzione che quella dei sessi. Se questa non è l'autorità divina, è almeno l'autorità della storia, e mostra che l'uguaglianza dell'uomo, lungi dall'essere una dottrina moderna, è la più antica che si ricordi.

[…] Non è l'ultimo dei mali dei governi esistenti in ogni parte d'Europa il fatto che l'uomo, considerato come uomo, sia tenuto lontano dal suo Creatore, e che questo abisso artificiale sia colmato da una successione di ostacoli, come dei cancelli attraverso cui egli deve passare. Citerò qui il catalogo delle barriere che Burke ha frapposto tra l'uomo e il suo Creatore. Ponendosi nei panni di un araldo, egli dice: «Temiamo Dio, guardiamo i re con sacro rispetto, ai parlamenti con affetto, siamo pieni di deferenza per i magistrati e i presti, e di rispetto per la nobiltà». Burke ha dimenticato di includere la «cavalleria», così come ha dimenticato Peter.

Il dovere dell'uomo non è costituito da una serie di cancelli che egli debba superare pagando ogni volta un pedaggio. Esso è chiaro e semplice, e consiste soltanto di due punti. Il dovere dell'uomo verso Dio, che ognuno deve sentire; e, nei confronti del prossimo, fare ciò che vorrebbe fosse fatto a lui. Se coloro ai quali è delegato il potere agiscono correttamente, saranno rispettati, altrimenti saranno disprezzati; e quanto a coloro ai quali nessun potere è delegato, ma che lo usurpano, il mondo razionale non vuole saperne nulla.

Finora abbiamo parlato unicamente (e solo in parte) dei diritti naturali dell'uomo. Dobbiamo adesso considerare i suoi diritti civili, e mostrare come gli uni abbiano la loro origine negli altri. L'uomo non è entrato nella società per trovarsi in una condizione peggiore di quella in cui si trovasse prima, né per aver meno diritti di quanti ne avesse prima, ma perché essi fossero meglio protetti. I diritti, naturali dell'uomo sono il fondamento di tutti i suoi diritti civili. Ma per fissare la distinzione in modo più preciso, sarà necessario determinare le diverse caratteristiche dei diritti naturali e

civili.

Essi si possono chiarire con poche parole. Sono diritti naturali quelli che spettano all'uomo in virtù della sua esistenza. A questo genere appartengono tutti i diritti intellettuali, o diritti della mente, e anche tutti quei diritti di agire come individuo per il proprio benessere e per la propria felicità che non siano lesivi dei diritti naturali altrui. Sono diritti civili quelli che spettano all'uomo in virtù dell'essere membro della società. Ogni diritto civile ha il suo fondamento in un diritto naturale che preesiste nell'individuo, ma per il cui godimento i poteri dell'individuo non sono sempre adeguati. A questa categoria appartengono tutti i diritti relativi alla sicurezza e alla protezione. [...]

Da queste premesse seguono due o tre conclusioni sicure: primo, ogni diritto civile nasce da un diritto naturale; o, in altre parole, è un diritto naturale scambiato; secondo, il potere civile considerato propriamente come tale e composto dall'insieme di quella classe dei diritti naturali dell'uomo, che nell'individuo diviene insufficiente sotto il rispetto del potere, e non risponde, ai suoi fini, ma che, raccolta attorno ad un solo centro, diviene adeguata agli scopi di ognuno; terzo, il potere prodotto dall'insieme dei diritti naturali, nell'individuo imperfetti quanto al potere, non può essere usato per violare i diritti naturali che l'individuo conserva e per cui il potere di metterli in atto è perfetto quanto il diritto stesso. [...]

Ovunque volgiamo lo sguardo, e estremamente facile distinguere i governi che sono sorti dalla società, o dal patto sociale, e quelli che non lo sono; ma per chiarire questo punto meglio di
quanto permetta un esame affrettato, sarà opportuno esaminare le diverse fonti da cui sono sorti i governi e su cui essi si fondano.

Esse possono essere tutte comprese sotto tre titoli: primo, la superstizione; secondo, la forza; terzo, l'interesse comune della società e i diritti comuni degli uomini.

Il primo fu il governo del clero, il secondo dei conquistatori e il terzo della ragione.

Quando alcuni uomini astuti, servendosi degli oracoli, fingevano di intrattenere rapporti con la divinità con la stessa familiarità con cui ora salgono le scale di servizio delle corti europee, il mondo si trovava interamente sotto il dominio della superstizione. Si consultavano gli oracoli e, qualunque cosa si facesse loro dire; diventava legge; e questo tipo di governo durò finché durò tale superstizione.

Dopo di loro sorse una stirpe di conquistatori, il cui governo, come quello di Guglielmo il Conquistatore, era fondato sulla forza; e la spada prese il nome di scettro. I governi istituiti in questo modo durano quanto dura la forza che li sostiene; ma per potersi valere di ogni artificio in loro favore, unirono alla forza la frode ed eressero un idolo che chiamarono diritto divino; questo, imitando il papa che pretende di essere spirituale e temporale, e contraddicendo al fondatore della religione cristiana, si tramutò più tardi in un idolo diverso, chiamato Chiesa e Stato. Le chiavi di san Pietro e le chiavi della tesoreria si intrecciarono tra loro, e la moltitudine ammirata e ingannata idolatrò quell'invenzione. […]

Dobbiamo ora esaminare i governi che nascono dalla società, a differenza di quelli che derivano dalla superstizione e dalla conquista.

Dire che il governo è un contratto tra coloro che governano e coloro che sono governati è stato considerato un notevole passo avanti verso l'affermazione dei princìpi di libertà; ma ciò non può

essere vero, perché significa anteporre l'effetto alla causa. Infatti, se l'uomo deve essere esistito prima che esistessero i governi, vi fu necessariamente un tempo in cui i governi non esistevano, e di conseguenza non potevano esistere dei governanti con cui stipulate un simile contratto. La verità perciò deve essere che gli individui stessi, ognuno nel suo personale diritto sovrano, conclusero un patto gli uni con gli altri per formate un governo: e questo è il solo principio in base al quale esso ha diritto di esistere. […]

Ma sarà innanzitutto necessario definite che cosa si intende per Costituzione. Non è sufficiente adottare un termine: bisogna anche determinate un significato univoco per esso.

Una Costituzione non esiste solo nominalmente, ma anche di fatto. Non ha un'esistenza ideale ma reale; e dovunque non possa essere esibita in una forma visibile, non esiste. La Costituzione precede il governo, e il governo non è che una sua creatura. La Costituzione di un paese non è un atto del suo governo, ma del popolo che costituisce il governo. Essa è un insieme di elementi, cui si può fare riferimento, e che si possono citare articolo per articolo; e contiene i princìpi su cui si fonderà il governo, il modo come esso dovrà essere organizzato, i poteri che dovrà avere, il modo delle elezioni, la durata dei parlamenti, o comunque si voglia chiamare tali corpi, i poteri dell'esecutivo; ed infine, tutto ciò che attiene all'organizzazione complessiva di un governo civile, e ai princìpi in base ai quali dovrà agire […].

Può dunque Burke produrre la Costituzione inglese? Se non può, noi potremo giustamente concludere che, sebbene se ne sia molto parlato, essa non esiste ne e mai esistita, e di conseguenza che il popolo deve ancora creare la Costituzione.

Presumo che Burke non negherà quanto ho già sostenuto, e cioè che i governi nascono o dal popolo o al di sopra del popolo. Il governo inglese e tra quelli che sorgono dalla conquista, non dalla società, e di conseguenza e sotto al di sopra del popolo; e sebbene dai tempi di Guglielmo il Conquistatore sia stato profondamente modificato secondo le circostanze, tuttavia il paese non si è ancora rigenerato, ed è rimasto perciò privo di una Costituzione. […]

In un discorso parlamentare, l'inverno scorso, Burke affermò che, quando l'Assemblea nazionale si riunì per la prima volta in tre ordini (il Terzo stato, il clero e la nobiltà), la Francia aveva una buona Costituzione. Questo, insieme con numerosi altri esempi, mostra come Burke non comprenda cosa sia una Costituzione. Le persone che si riunirono allora non formavano una Costituzione, ma una convenzione per preparare una Costituzione.

L'attuale Assemblea nazionale francese è, in senso stretto, il contratto sociale. I suoi membri sono i delegati della nazione nel suo carattere originario; le future assemblee saranno formate dai delegati della nazione nel suo carattere organizzato. L'autorità della presente assemblea è diversa da quella che sarà l'autorità di assemblee future. La presente ha l'autorità di formare una Costituzione; le assemblee future avranno quella di emanate leggi in osservanza dei princìpi e delle forme prescritte da questa; e se l'esperienza dovesse in seguito mostrare la necessità di modifiche, emendamenti o aggiunte, la Costituzione indicherà i modi in cui essi dovranno essere apportati, senza lasciare questo compito al potere discrezionale del futuro governo.

Un governo basato sui princìpi su cui sono istituiti i governi costituzionali, sorti dalla società, non può avere il diritto di modificare se stesso. Se lo avesse, sarebbe arbitrario. Esso potrebbe fare di sé ciò che volesse; ed e evidente che non esiste alcuna Costituzione laddove si affermi tale diritto. L'atto mediante cui ii parlamento inglese si è autorizzato a sedere per sette anni dimostra che non vi è una Costituzione in Inghilterra. […]

La Costituzione francese antepone il legislativo all'esecutivo, la legge al re; la loi, le roi. Questo è anche l'ordine naturale delle cose, perché le leggi devono esistere prima di essere poste in esecuzione.

Nel rivolgersi all'Assemblea nazionale un re di Francia non dice «mia Assemblea», analogamente alla formula in uso in Inghilterra «mio parlamento». E non potrebbe fare uso di una tale formula in armonia con la Costituzione, né gli sarebbe permesso. Può invece essere appropriato il farne uso in Inghilterra, perché, come si è già detto, entrambe le Camere derivano dalla cosiddetta corona per concessione o per grazia: e non dai diritti inerenti del popolo, come nel caso dell'Assemblea nazionale in Francia, il cui nome designa la sua origine.

Il presidente dell'Assemblea nazionale non chiede al re di «concedere libertà di parola all'assemblea», come avviene per la Camera dei comuni inglese. La dignità costituzionale dell'assemblea non può avvilirsi così. La libertà di parola è, in primo luogo, uno dei diritti naturali che l'uomo conserva sempre; e quanto all'Assemblea nazionale, farne uso è un suo dovere, e la nazione gliene conferisce l'autorità.

Che di queste idee e di questo linguaggio tipico della sottomissione non ci si fosse liberati neppure con la rivoluzione del 1688, risulta evidente dalla dichiarazione resa dal parlamento a Guglielmo e Maria con queste parole: «Facciamo atto di fedele sottomissione di noi stessi, dei nostri eredi e di tutta la posterità, per sempre». Sottomissione è un termine degno solo di un vassallo, che ripugna alla dignità degli uomini liberi; è un'eco del linguaggio in uso ai tempi della conquista.

 

 

PAINE, Thomas, The Rights of Man, tr. it. I diritti dell'uomo, a cura di Tito Magri, Editori Riuniti, Roma 1978