Ogni giudizio non contraddittorio è un giudizio identico



Lo Hegel affermava che ogni giudizio non tautologico è una contraddizione. Il che è esatto, ma solo qualora il giudizio sia considerato astrattamente. La considerazione astratta consiste nell'assumere il soggetto e il predicato del giudizio come termini irrelati. Se cioè si afferma che il giudizio è un porre qualcosa (soggetto) come altro da sé (predicato) – se soggetto e predicato sono visti semplicemente come dei diversi – significa che questi due termini sono presupposti al giudizio, e cioè alla loro sintesi. In quanto così presupposti, il soggetto è infatti qualcosa cui non conviene ancora il predicato (appunto perché questa convenienza è la sintesi, rispetto alla quale soggetto e predicato sono presupposti). Il giudizio viene allora inteso come l'instaurazione della convenienza tra quei due termini in quanto così presupposti; o la relazione tra i termini viene intesa come logicamente ulteriore alla posizione dei termini stessi; sì che ciò che non conviene al soggetto vien fatto convenire al soggetto, o di ciò che non è la determinatezza che si fa fungere da predicato, si afferma che è questa determinatezza. Ma, appunto, il giudizio è una contraddizione solo in quanto soggetto e predicato siano così presupposti. […]

Solo in quanto soggetto e predicato siano presupposti al giudizio essi hanno una determinatezza differente, e pertanto il giudizio è una contraddizione: perché se quella presupposizione non sussiste, il predicato non viene affermando ciò di cui, in quanto presupposto alla predicazione, non conviene tale predicato, ma di ciò cui, appunto, tale predicazione conviene; o il predicato non conviene al soggetto in quanto questo è presupposto alla relazione con predicato, ma in quanto il soggetto è appunto o è già immesso nella relazione, ossia in quanto il soggetto è già esso sintesi del soggetto e del predicato. In altri termini il significato dy può essere predicato del significato dx, solo in quanto dx sia posto come ciò cui conviene dy, e quindi in quanto il campo semantico costituito dal soggetto della predicazione non valga semplicemente come dx, ma come la stessa sintesi tra dx e dy. E viceversa dx può essere soggetto della predicazione di dy, solo in quanto dy sia predicato e quindi posto come ciò che appunto conviene a dx, sì che il campo semantico costituito dal predicato non vale semplicemente come dy, ma come la stessa sintesi tra dy e dx. Il significato concreto della proposizione: « dx è dy » è pertanto:


(dx = dy) = (dy = dx).


Se, ad esempio, si considera il significato: «Questa estensione rossa» […], non è «questa estensione» (= dx) che è rossa – intendendo con «questa estensione» un ambito semantico irrelato al significato in cui consiste il color rosso (di questa estensione) –, ma è «questa estensione rossa» che è rossa: altrimenti – assumendo cioè questa estensione che non è già in sintesi col color rosso (e quindi presupponendola alla sintesi) –, affermare che «questa estensione» è rossa significherebbe affermare che qualcosa è altro da sé, o, anche, che qualcosa è e non è qualcos'altro […] ma si deve dire che questa estensione è «questo rosso così esteso», esteso cioè appunto in modo da costituire questa estensione.

b) Appare da quanto si è detto che il giudizio «non identico» non è una contraddizione solo in quanto soggetto e predicato del giudizio hanno essi stessi valore apofantico, e l'apofansi in cui consiste il soggetto è l'apofansi stessa in cui consiste il predicato. Ciò significa che tutti i giudizi non contraddittori sono giudizi identici, stante appunto che, anche nel caso di giudizi «non identici», sia il soggetto, sia il predicato del giudizio hanno lo stesso valore apofantico. […] Per questo lato le proposizioni sintetiche, intese nel modo corrente, sono proposizioni contraddittorie. […]

 

d) La condizione dell'assunzione astratta dei distinti è dunque, da un lato, la presupposizione dei distinti alla loro sintesi, e dall'altro lato (ma poi è il medesimo) è il considerare la successione discorsiva come successione logica. Il discorso pone infatti in un primo tempo il soggetto e in un secondo tempo il predicato. Se a questa successione si conferisce valore logico, il soggetto si presenterà come ciò a cui non conviene il predicato, sì che questo verrà fatto convenire a ciò cui non conviene. Dove è chiaro che la relazione predicazionale dei distinti, quale si realizza nella formulazione verbalistica del giudizio, è una contraddizione solo qualora i distinti vengano astrattamente concepiti come irrelati.


 

E. Severino, La struttura originaria (1958), Adelphi, Milano 1981, pp. 271-273



Opera di Matteo Cecchinato
Opera di Matteo Cecchinato