LA VOLONTÀ DI POTENZA
Così come per il termine «nichilismo», l’espressione «volontà di potenza» non introduce un vero elemento di novità nelle speculazioni nietzscheane, bensì organizza e chiarifica pensieri che da lungo tempo erano una costante negli scritti di Nietzsche: il fatto cioè che qualsiasi produzione dello spirito umano, e della vita in generale, non sia altro che una costruzione funzionale alla vita stessa, una sua propria condizione di esistenza. Le cose esterne alla vita sono destituite della loro oggettività, anzi, a rigore, non semplicemente sono conosciute soggettivamente, per cui la loro vera essenza, la «x della cosa in sé», il noumeno, rimane ignoto e inconoscibile, ma sono nulla, niente se non una costruzione del soggetto: è l’uomo a conferire l’«essere» alle cose. La conoscenza, la morale, l’arte e tutte le loro forme derivate, non sono altro che forme della volontà di potenza. Ma proprio questa consapevolezza deve condurre a vedere tutto il mondo come essenzialmente volontà di potenza. Se infatti tutti i precedenti modi di conoscerlo, dal più ceco meccanicismo al più santo spiritualismo, si sono rivelati fittizi, in quanto creazioni della volontà di potenza, rimane, però, che l’unica realtà certa sia proprio quella volontà, alla quale richiama tutto ciò che «conosciamo». Nell’aforisma 36 di Al di là del bene e del male quest’ipotesi è formulata nel modo più chiaro. «Ammesso che nient’altro sia “dato” come reale se non il nostro mondo dei desideri e delle passioni, e che noi non possiamo discendere o risalire a nessuna “realtà” se non a quella appunto dei nostri istinti – il pensiero essendo solo un rapportarsi di questi istinti tra loro –: non è lecito fare il tentativo e porre la questione se questo dato non basti a intendere, in base ad altri dati simili ad esso, anche il cosiddetto mondo meccanicistico (o “materiale”)? Non voglio dire come un’illusione, una “parvenza”, una “rappresentazione” (nel senso di Berkeley e di Schopenhauer), bensì come qualcosa che abbia il medesimo ordine di realtà dei nostri stessi affetti – come una forma più primitiva del mondo degli affetti in cui si trovi ancora racchiuso in possente unità tutto ciò che poi, nel processo organico, si ramifica e si plasma (e anche, com’è logico, si infrollisce e si affievolisce) – come una specie di vita istintiva in cui tutte quante le funzioni organiche, l’autoregolazione, l’assimilazione, la nutrizione, l’eliminazione, il ricambio, sono ancora sinteticamente unite tra loro – come una forma primordiale della vita? [...] dobbiamo fare il tentativo di porre ipoteticamente la causalità della volontà come l’unica causalità. La “volontà” può naturalmente agire solo sulla “volontà” e non sulla materia (non sui “nervi” per esempio): insomma, bisogna azzardare l’ipotesi che, dovunque si riconoscano “effetti”, sia la volontà ad agire sulla volontà – e che ogni accadere meccanicistico, in quanto in esso diventi operante una forza, sia appunto una forza di volontà, un’azione della volontà. [...] Il mondo visto dall’interno, il mondo determinato e definito nel suo “carattere intelligibile”, sarebbe appunto “volontà di potenza”, e nient’altro». Siccome la volontà di potenza è l’unica realtà alla quale si può giungere, solo grazie ad essa possiamo dare un carattere di intelligibilità a quel mondo che altrimenti non si rivela che come caos una volta usciti dalla rappresentazione del mondo fornita dalla tradizione. L’aforisma 109 della Gaia scienza dice che «il carattere complessivo del mondo è caos per tutta l’eternità, non nel senso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine, articolazione, forma, bellezza, sapienza e di tutto quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane»; e ce lo dice proprio escludendo va-rie ipotesi appartenenti alla tradizione, che, in ultima analisi, altro non sono che «ombre di Dio»1. Allora la volontà di potenza, oltre a rendere conto della dinamica della vita umana e della vita in genere, potrebbe spiegare come il caotico divenire – divenga, il modo in cui il caos è tale. In un frammento dell’estate 1885 la corrispondenza tra caos e volontà di potenza è inequivocabilmente esplicita: «E sapete che cos’è per me “il mondo”? Ve lo devo mostrare il mio specchio? Questo mondo: un mondo di forza, senza principio e senza fine, una salda, bronzea massa di forza, che non diviene né più grande né più piccola, che non si consuma ma soltanto si trasforma, in complesso di grandezza di grandezza immutabile, un’amministrazione senza spese né perdite, ma del pari senza accrescimento, senza entrate, un mondo attorniato dal “nulla” come dal suo confine, nulla che svanisca, si sprechi, nulla di infinitamente steso, ma come una forza determinata è collocato in uno spazio determinato, e non in uno spazio che sia in qualche parte “vuoto”; piuttosto come forza dappertutto, come giuoco di forze e onde di forza esso è in pari tempo uno e “plurimo”, che qui si gonfia e lì si schiaccia, un mare di forze tumultuanti e infurianti in se stesse, in perpetuo mutamento, in perpetuo riflusso, con anni sterminati di ritorno, con un flusso e riflusso delle sue figure, passando dalle più semplici alle più complicate, da ciò che è più tranquillo, rigido e freddo a ciò che è più ardente, selvaggio e contraddittorio, e ritornando poi dal molteplice al semplice, dal giuoco delle contraddizioni fino al piacere dell’armonia, affermando se stesso anche in questa uguaglianza delle sue vie e dei suoi anni, benedicendo se stesso come ciò che ritorna in eterno, come un divenire che non conosce sazietà, disgusto, stanchezza: questo mio mondo dionisiaco del perpetuo creare se stesso, del perpetuo distruggere se stesso, questo mondo di mistero delle doppie voluttà, questo mio al di là del bene e del male, senza scopo, se non c’è uno scopo nella felicità del circolo, senza volontà, se un anello non ha la buona volontà verso se stesso – volete un nome per questo mondo? Una soluzione per tutti i suoi enigmi? Una luce anche per voi, i più celati fra gli uomini, i più forti, i più impavidi, i più notturni? – Questo mondo è la volontà di potenza – e nient’altro! E anche voi stessi siete questa volontà di potenza – e nient’altro!».
Interessante è il fatto che l’interpretazione del caos come volontà di potenza si fondi su l’unico dato reale che ormai Nietzsche si possa concedere, «il nostro mondo dei desideri e delle passioni», dacché «noi non possiamo discendere o risalire a nessuna “realtà” se non a quella appunto dei nostri istinti». Così come con il termine «nichilismo» Nietzsche dà un nome alla storia dell’occidente, così con l’espressione «volontà di potenza» riconduce ad unum le riflessioni sull’uomo sviluppate con maggiore consapevolezza a partire da Umano, troppo umano, ma presenti anche in precedenza.
Il concetto di volontà di potenza in Nietzsche è stato sicuramente un’illuminazione perché le sue riflessioni sull’uomo, sul mondo come caos e sul nichilismo collimano e trovano un’unica spiegazione. L’espressione stessa era felice perché bastava da sola stessa ad essere polemica con Schopenhauer e la sua «volontà di vivere», quindi con il popolo di schopenhaueriani, a cominciare da Wagner. Se non che, proprio questa svolta, lo porterà a nulla, anzi ad un vero e proprio regresso nelle prospettive fino ad allora conquistate. Innanzitutto le passioni: esse vengono impoverite e svalutate e ciascuna viene ricondotta a mera volontà di potenza, esse perdono il loro carattere fonda-mentale, il loro carattere passionale, l’uomo non è più una commozione. Le passioni perdono la loro qualità e invece di una dialettica che ha il suo principio e il suo fine nell’esprimersi, ci si ritrova con un interpretare vacuo e fatuo, che si riduce, al meglio, a un puro esercizio di potenza:
«Interpretazione, non spiegazione. Non c’è nessun fatto concreto, tutto è fluido, inafferrabile, cede-vole; le cose più durature sono ancora le nostre opinioni»2. La ragione e il linguaggio non spiegano più e non custodiscono un alcunché, anche la scienza è un mero «linguaggio di segni, che raccoglie tutte le “leggi” osservate», ma «non spiega più nulla»3. Tutto svanisce, anche il soggettivismo che proveniva dal-l’eredità kantiano-schopenhaueriana: «Noi non possiamo constatare nessun fatto in “sé”; è forse un’assurdità volere qualcosa del genere. “Tutto è soggettivo”, dite voi; ma già questa è un’interpretazione, il “soggetto” non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione, qualcosa di appiccicato dopo. – È infine necessario mettere ancora l’interprete dietro l’interpretazione? Già questo è invenzione, è ipotesi»4.
Come abbiamo visto, la volontà è il modo in cui il caos si dà, ovvero un alcunché cerca di esercitare ed espandere la propria potenza, ma quell’alcunché è inconoscibile e comunque non è nulla di elementare, ma sempre una risultante, di altre innumerevoli «puntuazioni di volontà», così come a innumerevoli interpretazioni è soggetta. Niente è più individuabile in sé, ancora una volta è il caos. E allo stesso modo nell’ambito pratico si scade nell’arbitrarietà. Per queste ragioni Nietzsche abbandonerà il progetto per l’opera Volontà di potenza. Tentativo di una trasvalutazione di tutti i valori, ma non abbandonerà i due concetti presenti nel titolo. Quello della volontà di potenza perché comunque significativo nell’indicare l’attività della vita, nei termini stabiliti in Così parlò Zarathustra, e il modo di intendere il caos, non atomisticamente o meccanicamente, per esempio. Quello della trasvalutazione per i motivi che diremo qui di seguito.