LA TRASVALUTAZIONE DI TUTTI I VALORI
Anche l’intento programmatico di una trasvalutazione di tutti i valori, che compare relativamente tardi negli scritti nietzscheani, non è punto una novità nel pensiero di Nietzsche, bensì è quello stesso compito, il suo aspetto complementare, di rovesciamento dei valori della tradizione. La filosofia di nietzsche tutta può essere vista come un rovesciare in funzione polemico-decostruttiva, meglio: polemico-distruttiva, e un trasvalutare in una prospettiva filantropico-costruttiva. Il primo atteggiamento è tale per cui rimane all’interno del nichilismo, perché per mostrare che il mondo non fosse più «bello e buono» come si credeva, viene posto volutamente l’accento sul suo carattere «brutto» o, nel migliore dei casi «problematico», ma anche questo «brutto» rispetto all’ambito in cui si muoveva la fede tradizionale. Nel secondo caso l’atteggiamento è già positivamente orientato e trova nel mondo devastato dal nichilismo, o prossimo alla devastazione, ancora cose «belle e buone» e, da questo punto di vista, gli scritti nietzscheani sono ricchi di intuizioni che portano bel oltre un atteggiamento nichilistico. In questo senso bisogna leggere e dare ragione a quanto Nietzsche scrive di sé definendosi «il primo perfetto nichilista d’Europa, che però ha già vissuto il sé fino in fondo il nichilismo stesso – che lo ha dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé».
In ambito morale, per esempio, Nietzsche non esita a chiamarsi un «immoralista», a considerare la morale una «menzogna», trovando la massima formula del nichilismo nella sfera della prassi: «tutto è permesso». D’altro lato però considera la morale come l’insieme delle condizioni di esistenza di un determinato tipo di uomo, di modo che ogni uomo in quanto uomo ha la sua morale, e Nietzsche stesso parla della «sua morale».
In questa situazione possiamo trovare che la morale sia appunto impossibile, un errore, e che quindi sia una scelta arbitraria, per cui avere una morale non sarebbe morale, perché non fondabile su Dio o su l’ordine razionale del mondo, ma su nulla. È da questa ingenuità che nel Novecento regnerà la dicotomia tra fatto e valore e l’obsolescenza della morale. Ma Nietzsche stesso non nega la morale, egli mostra come non si possa far morale nella maniera della tradizione, e in particolare nella maniera del cristianesimo tradizionale. Una morale assoluta è impossibile, che possa dedurre in un modo assurdamente razionale cosa è bene e cosa è male, ma non la morale stessa. Ma a determinare la piena nichilistica del Novecento è ancora il modo del capo-volgere e nel capovolgimento il rimanere attaccati a ciò che fu. Infatti, se un assoluto non si dà, allora tutto è relativo, quando non arbitrario. Ma di questo ce ne occuperemo in seguito. Qui dobbiamo terminare di occuparci di Nietzsche.
Si diceva: un rovesciamento in funzione nichilistica ed una trasvalutazione che dia nuovi valori, quei valori possibili dopo la devastazione nichilistica; polarizzazione questa che dà un tocco di ambiguità e fuggevolezza alla filosofia di Nietzsche, talvolta inabissandola nelle prospettive che vorrebbe superare.
La critica della morale, intesa come legge alla quale bisogna obbedire, è compiuta per lo più e nelle linee essenziali attraverso uno smascheramento genealogico. Ciò significa: riconoscendone l’origine, la genesi, considerarla per quello che è e, con ciò, rilevare l’illegittimità dei caratteri fondamentalistici fino ad allora attribuitegli. È la vita stessa infatti a crearsi una morale, e proprio per poter vivere; è la vita interpretata come volontà di potenza che vuole se stessa, potenza, che si crea un mondo dove poter vivere con la sua morale. «Valutando e creando», abbiamo già visto, la vita vive: quelle due attività sono caratteri essenziali del vivere: non c’è vita senza «valutare e creare». Si vive valutando e creando per – vivere: la vita tende ad alimentare se stessa; per accrescere se stessa rendendosi possibile la vita – vive. Non essendoci altra realtà al di fuori della volontà di potenza, la morale non può che essere funzionale alla vita stessa, come condizione per il migliore esercizio della potenza. Infatti, «che cos’è buono? – Tutto ciò che eleva il senso della potenza, la potenza stessa nell’uomo». Anche la morale in origine era questo, ma, una volta cristallizzata in formule assolute ed atemporali, dovette agire come impedimento e d’ostacolo alla vita. I tentativi di una genealogia della morale pullulano nelle opere di Nietzsche, il titolo stesso di una delle ultime opere sarà Genealogia della morale. Noi seguiremo il breve percorso tracciato dall’aforisma 44 del Viandante e la sua ombra, interessandoci il punto d’arrivo. Le fasi della morale qui indicate sono sei: «La morale è innanzitutto un mezzo per conservare in genere la comunità; [...] poi un mezzo per conservare la comunità a un certo livello [...]. I suoi motivi sono la paura e la speranza. [...] Gradi ulteriori della morale e quindi mezzi per lo scopo indicato sono i comandamenti di un Dio (come la legge mosaica); altri ancora, e superiori, i comandamenti di un concetto assoluto del dovere col “tu devi” [...]. Poi viene una morale dell’inclinazione, del gusto, infine quella della conoscenza». In queste ultime fasi si riconosce appunto che la morale è funzione della vita nelle sue concretizzazioni individuali, quindi in individui con inclinazioni e gusti. Anche nelle altre fasi la morale svolge la stessa funzione, ma con la mancanza della dovuta consapevolezza, tanto che, misconoscendone l’origine, si misconosce la morale tutta, che può con ciò esercitare un’azione dannosa, quando non venicida. Trasvalutare tutti i valori comporta quindi un’attenzione su ciò che prima non era ritenuto degno di riflessione in confronto a realtà che però ora, nell’epoca del nichilismo, non sono più ritenute tali – reali. Nietzsche raccontando della sua vita afferma che «“Dio”, “immortalità dell’anima”, “redenzione”, “al di là”, sono tutti concetti ai quali non ho dedicato nessuna attenzione [...]. Ben altrimenti mi interessa un problema dal quale dipende la “salvezza dell’umanità” molto più che da qualche curiosità teologica: il problema della alimentazione. Grosso modo lo si può formulare così: “Tu, come devi nutrirti, per raggiungere il tuo massimo di forza, di Virtù in senso rinasci-mentale, di virtù senza moralina?». Nella stesura della sua ultima opera, Ecce homo, il problema e il compito di Nietzsche è sempre lo stesso, trasvalutazione di tutti i valori significa abbandonare gli «ideali» della tradizione, con le sue «realtà immaginarie» e i suoi «imperativi assoluti» e dedicarsi alle «cose prossime». «Le cose più vicine di tutte vengono dai più molto malamente viste e molto raramente tenute in conto [...] da questa mancanza derivano quasi tutte le infermità fisiche e spirituali dei singoli: il non sapere che cosa ci fa bene e che cosa ci fa male nell’impianto della condotta di vita». Invece «preti e maestri, e la sublime ambizione di dominio degli idealisti di ogni specie, di quella grossolana e di quella fine, cominciano già con l’inculcare al bambino che ciò che conta è tutt’altro: è la salvezza dell’anima, il servizio dello Stato, il progresso della scienza, o la considerazione e la ricchezza, come mezzi per rendere servigi all’intera umanità». La questione che troviamo in Ecce homo e nelle ultime opere è la stessa, e formulata negli stessi termini, in Umano, troppo umano. «Noi dobbiamo ridivenire buoni vicini delle cose prossime e non distogliere da esse lo sguardo così sprezzantemente come finora si è fatto, mirando alle nuvole di là da esse»: l’uomo «ha imparato a disprezzare il presente e le cose vicine e se stesso»1. «Queste piccole cose – alimentazione, luogo, clima, svaghi, tutta la casistica dell’egoismo – sono inconcepibilmente più importanti di tutto ciò che finora è stato considerato importante. Proprio da qui bisogna cominciare a cambiare tutte le proprie nozioni. Quelle che finora l’umanità ha considerato cose serie, non sono neppure realtà, sono semplici prodotti della immaginazione, o più esattamente menzogne che derivano dai cattivi istinti di nature malate».