dal CREPUSCOLO DEGLI IDOLI (1888)

 

Il mio concetto di libertà. – Talvolta il valore di una cosa non sta in ciò che si consegue con essa, bensì in ciò che si paga per essa – in quel che essa ci costa. Eccovene un esempio. Le istituzioni liberali cessano di essere liberali non appena si riesce a ottenerle: non v’è nulla, in seguito, che in maniera più grave e radicale delle istituzioni liberali danneggi la libertà. Per l’appunto è noto quel che esse mettono in atto: minano la volontà di potenza, sono il livellamento, elevato a morale, di monte e valle, rendono piccoli, codardi e gaudenti – con esse trionfa ogni volta l’animale da gregge. Liberalismo significa imbestiamento in gregge . . . Fintantoché queste istituzioni non vengono conquistate, producono effetti del tutto diversi: in realtà, allora, promuovono possentemente la libertà. Se si osserva con maggior precisione, è la guerra a produrre questi effetti, la guerra per le istituzioni liberali, la quale, come guerra, lascia persistere gli istinti illiberali. E la guerra educa alla libertà. Che cos’è, infatti, la libertà? Avere la volontà di essere autoresponsabili. Mantenere saldamente la distanza che ci separa. Divenire indifferenti agli stenti, alle avversità, alla privazione, persino alla vita. Essere pronti a sacrificare degli esseri umani alla propria causa, senza escludere noi stessi. Libertà significa che gli istinti virili, gli istinti che gioiscono della guerra e della vittoria, hanno la signoria su altri istinti, per esempio quelli della «felicità». L’uomo divenuto libero, e tanto più lo spirito divenuto libero, calpesta la spregevole sorta di benessere di cui sognano i mercantucoli, i cristiani, le mucche, le femmine, gli Inglesi e gli altri democratici. L’uomo libero è guerriero. – Da che si misura la libertà, negli individui come nei popoli? Dalla resistenza che deve essere superata, dalla fatica che costa il restare in alto. Si dovrebbe cercare il massimo tipo di uomo libero laddove viene costantemente superata la massima resistenza: distante cinque passi dalla tirannide, già quasi alla soglia del pericolo della schiavitù. Questo è psicologicamente vero, se si intendono qui, per «tiranni» quegli istinti spietati e tremendi che provocano contro di sé il massimo di autorità e disciplina – un bellissimo tipo era, in questo, Giulio Cesare –; ciò è anche politicamente vero, basta fare qualche passo attraverso la storia. I popoli che ebbero qualche valore, che assunsero un valore, non lo assunsero mai sotto istituzioni liberali: il grande pericolo fece di loro qualcosa che merita rispetto, il pericolo che solo ci insegna a conoscere i mezzi per aiutarci, le nostre virtù, le nostre armi di difesa e offesa, il nostro spirito – il pericolo che ci costringe a essere forti . . . Primo principio: si deve sentire la necessità di essere forti; altrimenti non lo si diventa mai. – Quelle grandi serre destinate a una forte, la più forte specie di uomini che sia mai esistita fino a oggi, le comunità aristocratiche sul tipo di Roma e Venezia, intesero la libertà in quello stesso significato da me attribuito alla parola libertà: come qualcosa che si ha e non si ha, qualcosa che si vuole, che si conquista . . .

 

Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello, tr. it. di Ferruccio Masini, Adelphi, Milano 1994

Dipinto di Vittorio Bustaffa