IL NICHILISMO

 

La filosofia di Nietzsche è dunque un fare i conti con la situazione che gli è toccata in eredità. Il Nietzsche maturo sonda le conseguenze e tira le somme accelerando il processo nichilistico, diffondendone la consapevolezza: è il maestro del nichilismo, ma in nessun modo è la sua critica a determinare l’avvento del nichilismo. È proprio invece la crisi nichilistica che investe l’edificio della tradizione che si trova ad essere fondato su nulla o sul nulla. Nietzsche affronta ed insegna ad affrontare la nuova situazione, cercando di mostrarla nella sua chiarezza, smontando ogni singola parte dell’edificio veteroeuropeo e non cercando facili rimedi, la facilità dei quali solo può derivare dal non essersi accorti fin dove la potenza del nulla agisca. Nietzsche affronta il nichilismo pensandolo fin nelle sue estreme conseguenze.

Ma dell’essenza del nichilismo Nietzsche era consapevole fin dagli inizi. Tutte le sue successive speculazioni sono in nuce contenute nei suoi primi appunti filosofici non pubblicati, come per esempio nel breve scritto Sul pathos della verità, una delle Cinque prefazioni per cinque libri non scritti, dedicate alla moglie di Wagner. Nietzsche già scrive che «tale sarebbe la sorte dell’uomo, se egli fosse soltanto un animale conoscente; la verità lo spingerebbe alla disperazione e all’annientamento; la verità di essere condannato eternamente alla non verità. All’uomo per contro si addice solo la fede in una verità raggiungibile, in un’illusione cui si avvicina con fiducia. Non vive forse, propriamente, attraverso un continuo essere ingannato? Forse che la natura non gli nasconde la maggior parte delle cose, anzi addirittura quelle che gli sono più vicine, per esempio il suo proprio corpo, di cui egli ha soltanto una “coscienza” fantasmagorica?». In questo primo momento però individua nell’arte il rimedio in una maniera che di lì a poco avrebbe abbandonato, come in seguito vedremo.

L’essenza del nichilismo, ora espressa in nuce, venne poi sviluppata attraverso varie formulazioni, ricevette il suo nome, e rimase essenzialmente fino agli ultimi appunti che costituiscono i frammenti postumi. Se, come la storiografia nietzscheana riconosce, è possibile individuare una svolta nella produzione di Nietzsche con Umano, troppo umano (egli stesso la segnala), questa non riguarda punto il nichilismo, semmai l’atteggiamento di fronte ad esso, incarnato nei modelli dai quali consumò il distacco, Schopenhauer e Wagner. Le considerazioni sul nichilismo non mutano rispetto a quelle contenute negli scritti che vanno dagli studi sulla grecità alle Considerazioni inattuali. Queste sono le acquisizioni su cui bisogna iniziare a riflettere: «la religione, l’arte e la morale non ci fanno toccare l’“essenza del mondo in sé”; siamo nel campo della rappresentazione, nessuna “intuizione” può portarci oltre». Non diversamente per la scienza, poiché «la logica poggia su premesse a cui nulla corrisponde nel mondo reale, per esempio sul presupposto della uguaglianza delle cose, dell’identità della stessa cosa in diversi punti del tempo... Così stanno le cose anche per la matematica». Per questa ragione, poiché le nostre conoscenze si fondano su rappresentazioni fittizie, tali proprio per il solo fatto di essere rappresentazioni soggettive di un soggetto, «ciò che noi ora chiamiamo il mondo, è il risultato di una quantità di errori e di fantasie che sono sorti a poco a poco nell’evoluzione complessiva degli esseri organici, e che sono cresciuti intrecciandosi gli uni alle altre e ci vengono ora trasmessi in eredità come tesoro accumulato in tutto il passato – come tesoro: perché il valore della nostra umanità riposa su di esso»1. Ma per questo ogni conoscenza non è tale per la propria aderenza alle cose che sono, ma per un atto di fede: «il primo gradino del pensiero logico è il giudizio: la cui essenza consiste, secondo quanto i migliori logici hanno stabilito, nella fede». La parola e il concetto, gli elementi fusi nel giudizio – «con essi noi non designiamo soltanto le cose, ma crediamo originariamente di afferrare con essi la loro essenza. Da parole e concetti noi veniamo ancor oggi di continuo indotti a immaginare le cose più semplici di come sono, separate fra loro, indivisibili, ognuna esistente in sé e per sé. Nella lingua si cela una mitologia filosofica che in ogni momento sbuca di nuovo fuori». La concettualità di cui ci serviamo per descrivere il mondo ordinario in realtà non lo descrive, ma se ne appropria arbitrariamente rispetto al mondo di cui discorre e funzionalmente rispetto alla vita, della quale è strumento. L’inaderenza tra pensiero e realtà, tra pensare ed essere, rende problematica la metafisica; da essa consegue la sua impossibilità, perché una concettualità che ha perso il suo legame profondo con le cose, ancor meno potrà pretendere di spingersi con le sole sue forze razionali al di là del mondo terreno, nel mondo metafisico. Ogni conoscere è un errore ed una conoscenza razionale è chimerica, a fortiori chimerico è il culmine e il punto archimedeo di ogni conoscenza razionale: Dio.

Raggiunta questa consapevolezza, non si tratta più di negare Dio, ma di vedere e pensare cosa rimanga e cosa ne sia di questo mondo una volta che la realtà in cui ci si trova non conduca e nemmeno possa più accennare alla sua presenza. Nietzsche con la celebre affermazione «Dio è morto» non è e non vuole essere il giustiziere di Dio e neppure annuncia ciò che già da tempo aveva avuto i suoi proclami, ma richiama alla cruda realtà che quell’evento lasciava dietro di sé. Richiama alla realtà dell’Europa, accelerandone il processo, rendendola consapevole con la sua critica corrosiva di quanto già intaccato alle fondamenta e che ora cominciava a sgretolarsi corroso da esalazioni nichilistiche. Quello di Nietzsche è un prender atto; egli scrive: «il più grande avvenimento recente – che “Dio è morto”, che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile – comincia già a gettare le sue prime ombre sull’Europa». L’evento che quelle parole veicolano sembra essere «appunto che un qualche sole sia tramontato, che una qualche antica, profonda fiducia si sia capovolta in dubbio: a costoro il nostro vecchio mondo dovrà sembrare ogni giorno più crepuscolare, più sfiduciato, più estraneo, più “antico”». Ciò però di cui si hanno parole non ha ancora iniziato ad agire, le parole mettono innanzi il fatto compiuto, ma esso coinvolge tutto il mondo e l’esistenza umana tutta, e perché il fatto possa essere pensato nella la sua pregnanza quelle parole non bastano. In questione non è solo Dio, ma tutto ciò che a Dio veniva fatto riferire e in esso si fondava. «L’avvenimento stesso è fin troppo grande, troppo distante, troppo alieno dalla capacità di comprensione dei più perché possa dirsi già arrivata anche soltanto notizia di esso; e tanto meno, poi, perché molti già si rendano conto di quel che veramente è accaduto con questo avvenimento – e di tutto quello che ormai, essendo sepolta questa fede, deve crollare, perché su di essa si era costruito, e in essa aveva trovato il suo appoggio, e dentro di essa era cresciuto: per esempio tutta la nostra morale europea». La questione non è di pura conoscenza e investendo Dio rende problematica l’intera esistenza umana fin nei suoi più minimi rapporti quotidiani, regolati appunto dalla morale, qualsiasi cosa con essa si voglia intendere. «Una lunga, copiosa serie di demolizioni, distruzioni, tramonti, capovolgimenti ci sta ora dinanzi: chi già da oggi potrebbe aver sufficiente divinazione di tutto questo da diventare maestro e veggente di questa mostruosa logica dell’errore, da es-sere il profeta di un ottenebramento e di un’eclissi di sole, di cui probabilmente non si è ancora mai visto sulla terra l’uguale?». È proprio questo il compito che Nietzsche sceglie per se stesso definendosi poi il «maestro dell’eterno ritorno», ovvero colui che segna il trapasso dall’epoca di Dio alla successiva senza Dio. A ragione, Nietzsche tra le ultime cose scrive: «Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qual-cosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite». Tanto più le sue riflessioni gli rendono chiara la situazione della sua epoca, tanto più lucidamente viene assunto il compito di rovesciamento e sovvertimento di tutti i valori invalsi della tradizione. L’introduzione del concetto di nichilismo contribuisce ad organizzare le riflessioni sviluppate fin dagli anni giovanili, ma la sostanza della situazione rimane immutata. «Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al “perché?”; che cosa significa nichilismo? – che i valori supremi si svalorizzano».

Con ciò ritorniamo alle considerazioni iniziali: «manca il fine; manca la risposta al “perché?”»: infatti è proprio il fine la risposta al perché, qualunque significato assuma «fine» in relazione alla prassi, e in questo caso all’attività somma, la vita stessa; il culmine e la massima trasparenza di questa esperienza la troviamo negli scritti leopardiani. Il fine manca, mancando una realtà esterna in cui trovarlo, mancando l’Ens realissimus, Dio. «La domanda “a che scopo?” procede dalla vecchia abitudine di vedere il fine come posto, dato, richiesto dall’esterno – cioè da una qualche autorità sovrumana». E perché questo accada lo sappiamo fin dall’inizio: Dio e gli altri valori «si svalorizzano»: il principio della fine è contenuto nei valori stessi, è l’esaurirsi delle loro possibilità che li svelano come insostenibili: spinti dalla potente fiducia nella verità della ragione, lentamente la ragione arriva a mettere in questione se stessa nella pretesa di trovare quei fundamenta inconcussa di cui da sempre era alla ricerca e che ancora cercava. Con Nietzsche, da ultimo, la «volontà di verità», già messa in questione, si riconosce come «volontà di potenza» – attraverso la verità, la ragione e le sue categorie. I vecchi valori sono svalutati perché invece di essere il fondamento, ora, si scoprono fondati dalla vita, dalla volontà di potenza che è «l’ultimo fatto cui perveniamo scendendo in profondità».